Negli ultimi tempi si riscontra sempre più un pericolo di
allontanamento –delle nuove generazioni, ma non soltanto- dal libro e dalla
lettura; ciò fa presupporre quanto ci si allontani quindi anche da ciò che è
testimonianza, storia e tutto ciò che porta a comprendere a 360° il nostro
presente politico e sociale.
Vanno ricercate tutte le vie per
facilitare un approccio qualificato alla lettura, poiché il libro consente di
realizzare esperienze di incontro con le varie testimonianze culturali
disponibili.
«Una fra le poche giustificate lamentele
contro la nequizia dei tempi –scrive Claudio Nigris su “Il corriere della
Sera”- è la denuncia della disaffezione
alla lettura, l’allarmata constatazione che si legge sempre meno e
comunque poco. [… ] se la lettura appare in declino il grido di dolore è più
che motivato, perché leggere è una delle esperienze più formative e creative
per la vita e l’intelligenza di un individuo e dunque di una collettività, di
una civiltà.»
Ecco dunque la necessità di far capire alle
giovani generazioni le potenzialità straordinarie che sono insite nella
lettura.
Una forte concorrenza al libro è
costituita in questo nostro tempo soprattutto dalla televisione e dal web, a
questo proposito bisogna convenire con quanti sostengono che la presenza del
mezzo mediatico non ha un potere illimitato e assoluto e che il libro anch’esso
è un mass medium.
Sarebbe auspicabile che i vari
mezzi di comunicazione di massa interagiscano tra loro in modo da compensare le
relative lacune.
Nella prefazione al saggio di
Guèdon viene immediatamente trattato un paradosso: nella vita del sapere si è
costretti a pagare privatamente un testo o una rivista pregiata, la cui
pubblicazione si deve però a denaro pubblico (es. le tasse degli studenti
universitari).
Questo è un problema
sottovalutato, dal momento che il finanziamento si trova in una posizione
estremamente primaria negli interessi degli studiosi o accademici che
necessitano di elargire i loro scritti.
Al finanziamento e alla selezione
dell’opera segue la pubblicazione; gli editori sono così divenuti –scrive
l’autore- i “guardiani del sapere”.
Questa problematica non si è
posta fino all’età della stampa, poiché dapprima la produzione di testi
–soltanto manoscritta- veniva considerata non altro che una forma di
artigianato artistico.
Con l’avvento dell’attività di
stampa ci si è imbattuti in un percorso di industrializzazione della propaganda
del sapere: gli stampatori erano interessati a garantirsi la prerogativa della
stampa di ogni testo , per contro, la corona pretendeva l’esercizio di
controllo della stampa stessa, a causa del suo potere divulgativo.
Nel corso del ‘600 (inizialmente
in Inghilterra) la stampa venne concessa dai monarchi come un privilegio di
corporazione.
Sebbene questa attività
innovativa si presentasse come uno
strumento di facilitazione per la diffusione del sapere, possiamo riconoscerne
alcuni limiti: tra questi, il fatto che stampatori-librai attuarono censure su
un gran numero di testi.
Infine, però, non fu riconosciuta
alla stampa la proprietà privata perpetua sui testi, ma soltanto un’esclusiva
temporanea: il copyright.
Oggi, però, grazie all’efficacia
della rete, la libertà di diffusione delle idee è molto facilitata: viene
superato il limite della coincidenza tra selezione e pubblicazione, il limite
del finanziamento e della censura di stampa.
Nonostante la diffidenza che ancora molti studiosi riservano nei
confronti del web, per il timore di una cattiva interpretazione o un cattivo
uso dell’informazione, piuttosto che una perdita di quest’ultima, è certamente
una risorsa preziosissima per scienziati e studenti oltre che un ottimo canale
per riavvicinare una società al sapere e al gusto di conoscere anche il passato
della propria storia.
Tania Becce
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