mercoledì 27 giugno 2012

Anche i libri piangono: il web come canale per avvicinare la nuova società alla lettura


Negli ultimi tempi si riscontra sempre più un pericolo di allontanamento –delle nuove generazioni, ma non soltanto- dal libro e dalla lettura; ciò fa presupporre quanto ci si allontani quindi anche da ciò che è testimonianza, storia e tutto ciò che porta a comprendere a 360° il nostro presente  politico e sociale.
Vanno ricercate tutte le vie per facilitare un approccio qualificato alla lettura, poiché il libro consente di realizzare esperienze di incontro con le varie testimonianze culturali disponibili.
 «Una fra le poche giustificate lamentele contro la nequizia dei tempi –scrive Claudio Nigris su “Il corriere della Sera”- è la denuncia della disaffezione  alla lettura, l’allarmata constatazione che si legge sempre meno e comunque poco. [… ] se la lettura appare in declino il grido di dolore è più che motivato, perché leggere è una delle esperienze più formative e creative per la vita e l’intelligenza di un individuo e dunque di una collettività, di una civiltà.»
 Ecco dunque la necessità di far capire alle giovani generazioni le potenzialità straordinarie che sono insite nella lettura.
Una forte concorrenza al libro è costituita in questo nostro tempo soprattutto dalla televisione e dal web, a questo proposito bisogna convenire con quanti sostengono che la presenza del mezzo mediatico non ha un potere illimitato e assoluto e che il libro anch’esso è un mass medium.
Sarebbe auspicabile che i vari mezzi di comunicazione di massa interagiscano tra loro in modo da compensare le relative lacune.
Nella prefazione al saggio di Guèdon viene immediatamente trattato un paradosso: nella vita del sapere si è costretti a pagare privatamente un testo o una rivista pregiata, la cui pubblicazione si deve però a denaro pubblico (es. le tasse degli studenti universitari).
Questo è un problema sottovalutato, dal momento che il finanziamento si trova in una posizione estremamente primaria negli interessi degli studiosi o accademici che necessitano di elargire i loro scritti.
Al finanziamento e alla selezione dell’opera segue la pubblicazione; gli editori sono così divenuti –scrive l’autore- i “guardiani del sapere”.
Questa problematica non si è posta fino all’età della stampa, poiché dapprima la produzione di testi –soltanto manoscritta- veniva considerata non altro che una forma di artigianato artistico.
Con l’avvento dell’attività di stampa ci si è imbattuti in un percorso di industrializzazione della propaganda del sapere: gli stampatori erano interessati a garantirsi la prerogativa della stampa di ogni testo , per contro, la corona pretendeva l’esercizio di controllo della stampa stessa, a causa del suo potere divulgativo.
Nel corso del ‘600 (inizialmente in Inghilterra) la stampa venne concessa dai monarchi come un privilegio di corporazione.
Sebbene questa attività innovativa  si presentasse come uno strumento di facilitazione per la diffusione del sapere, possiamo riconoscerne alcuni limiti: tra questi, il fatto che stampatori-librai attuarono censure su un gran numero di testi.
Infine, però, non fu riconosciuta alla stampa la proprietà privata perpetua sui testi, ma soltanto un’esclusiva temporanea: il copyright.
Oggi, però, grazie all’efficacia della rete, la libertà di diffusione delle idee è molto facilitata: viene superato il limite della coincidenza tra selezione e pubblicazione, il limite del finanziamento e della censura di stampa.
Nonostante la diffidenza che ancora molti studiosi riservano nei confronti del web, per il timore di una cattiva interpretazione o un cattivo uso dell’informazione, piuttosto che una perdita di quest’ultima, è certamente una risorsa preziosissima per scienziati e studenti oltre che un ottimo canale per riavvicinare una società al sapere e al gusto di conoscere anche il passato della propria storia.                              

Tania Becce                                                                                              

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