venerdì 2 settembre 2011

Essere comunisti nel 2011


Sono passati 163 anni dalla pubblicazione del manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, è caduto il muro di Berlino, sono crollati i paesi del cosiddetto “Socialismo Reale”, sono finite le ideologie.
Tutti quelli che sono stati e sono comunisti si sentono spesso chiedere o si chiedono. che senso ha, che significa essere comunisti nel 2011?
Bisogna innanzitutto constatare come il capitalismo, che è il sistema economico prevalente in quasi tutti i paesi industrializzati o in fase di industrializzazione non ha risolto i problemi dell’Umanità. I poveri del mondo sono miliardi e sono sempre più poveri, i ricchi sono pochi e sono sempre più ricchi, cioè, il divario tra le classi sociali è diventato incolmabile; sono numerosi i paesi e le popolazioni in guerra (che vuol dire distruzione e miseria) e quasi sempre le cause di questi conflitti hanno una motivazione economica.
Le crisi economiche sono ricorrenti e colpiscono soprattutto la classe salariata e sono dovute (sembra un controsenso) alla sovrapproduzione, cioè, esiste sui mercati una quantità di prodotti in eccesso, che non trovano compratori, in quanto, la maggioranza della popolazione mondiale non è nelle condizioni economiche di accedere al mercato di questi prodotti : non è un fatto nuovo già Marx ed Engels l’avevano scritto nel manifesto del partito comunista, che abbiamo citato all’inizio.
Inoltre l’economia prevalente basata sull’aumento incessante della produzione , che garantisce sempre maggiore accumulo di capitale (sempre nelle mani di pochi) ed un consumo indiscriminato delle risorse disponibili, mette a repentaglio la vita stessa del pianeta. Tutti si rendono conto che l’aumento del PIL (prodotto interno lordo) dei vari paesi non può continuare all’infinito, che c’è la necessità di un nuovo modo di produrre e di consumare, cioè di un mondo nuovo. La ricchezza, i beni prodotti o dataci dalla terra sono un valore soltanto se servono a soddisfare le esigenze di tutti, se al contrario vengono accumulati da pochi sono uno spreco insopportabile e fonte di ingiustizie.
Essere comunista vuol dire credere che possa esistere un mondo in cui gli uomini sono tutti uguali, cioè hanno gli stessi diritti e le stesse opportunità, senza sfruttati e senza sfruttatori, dove tutti possono vivere in pace affrancati dalla miseria e dalle
ingiustizie.
Essere comunisti vuol dire sentire qualsiasi ingiustizia, commessa contro chiunque, come qualcosa di insopportabile, cioè, cercare di trasformare la società secondo giustizia. Non so se questa sia un’utopia, ma so che essere comunista significa credere fermamente nell’utopia di una società giusta, che non è una cosa astratta vuol dire più semplicemente credere che tutte le persone abbiano diritto ad una casa, alla salute, all’istruzione, ad un lavoro dignitoso, ad una pensione dignitosa.
Nella trasmissione televisiva “Che Tempo Che FA” di qualche settimana fa il conduttore ha fatto allo scrittore Andrea Camilleri la stessa domanda che ci siamo posti all’inizio di questo scritto
e Camilleri rispose: essere comunista oggi significa avere un grande amore per l’uomo. Naturalmente condividiamo la risposta senza questo grande amore per l’uomo non si può essere comunisti, ma si e soltanto strumenti di una società ingiusta e diseguale. Come disse Nazim Hikmet “La responsabilità di tanta miseria nell’umanità è di tutti coloro che non sono comunisti “ecco” perché nessuno è mai riuscito a convincermi di non esserlo.”
Francesco Cuzzocrea

*Tratto da "Le Voci del Naviglio" N°5 (Maggio)

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